di e con Aida Talliente musiche interpretate da David Cej disegno luci Luigi Biondi scenografia di Massimo Staich
Lo spettacolo nasce da un lungo ed intenso periodo di incontri con Rosa Cantoni, una delle più anziane partigiane della città di Udine, che nella seconda guerra mondiale, è stata protagonista nella lotta della Resistenza e poi deportata nel campo di sterminio di Ravensbruk.
Ascoltando le sue parole e le sue testimonianze, si diventa silenziosi spettatori di tutto ciò che si è consumato nel corso del tormentato '900.
Una storia raccontata con semplicità,
usando vecchie fotografie,
vecchie lettere
e poesie ritrovate.
In collaborazione con Teatro Club Udine e ScenAperta e con il patrocinio di:
A.N.P.I. Comitato provinciale di Udine; A.N.E.D. Udine; I.F.S.M.L. Udine; Comitato Provinciale Pari Opportunità Udine; Centro di Accoglienza “E. Balducci” Zugliano (Ud); Donne in Nero di Udine; Libreria Cluf Udine.
Recensione di
Fabio Massimo Franceschelli
Visto il 22 aprile 2010
al Teatro del Forte Prenestino
Roma
In un periodo storico in cui le contingenze economiche invadono prepotentemente gli spazi della scrittura scenica spianando la strada al minimalismo più triste, da cosa può trarre vita e volare in alto un monologo? Semplice: dal testo e dall’interpretazione. L’interpretazione in particolare, quella che in ultima analisi “fa” teatro, dà al teatro la “condicio sine qua non” della propria esistenza. Sospiro d’Anima – monologo scritto e interpretato da Aida Talliente - dimostra la validità di questa tesi di matrice grotowskiana: vedere per credere. Lo spazio offerto agli effimeri “colori” della modernità è davvero ridotto, a partire dalle pesanti note di regia che il pubblico legge aspettando nel foyer e che parlano dei ricordi di guerra di Rosa Cantoni, vecchia poetessa partigiana friulana (1913-2009), per passare poi alla vista diretta di una scenografia dimessa, segnata da un arbusto secco al centro, poche luci bianche, una sola attrice seduta, un fisarmonicista sullo sfondo. Aleggiano morte e memoria. Ma già un più attento sguardo sulla scena lascia intravedere un rigoroso progetto artistico e un non comune gusto ritualistico, come se quella sorta di gruppo scultore che si offre allo spettatore condensi il passaggio dal rito al teatro di turneriana memoria. La scena è effettivamente spazio sacro, circolare, delimitato e protetto dal profano tramite una serie di pietre bianche intervallate da lumini.
La Talliente è l’officiante del rito, vera e propria sciamana in viaggio sospeso tra un’anima che svanisce e una memoria che s’aggrappa alla vita. Insisto nei paralleli col rito perché ciò a cui assiste il pubblico rimanda davvero ad una trasfigurazione dai tratti religiosi: come già nel suo precedente spettacolo (Aisha, 2008) la Talliente dimostra una capacità unica nel saper caricare nel corpo e nel viso i tratti somatici del personaggio che interpreta. Lei, esile friulana dalla carnagione chiara, era stata una credibile donna di colore ivoriana in Aisha e sempre lei, giovane trentenne, riesce a trasformarsi davanti ai nostri occhi increduli in una vecchia prossima alla morte, a incarnarne la voce incerta, il gesticolare sconnesso, il cammino affaticato, il peso degli anni nelle spalle ricurve e soprattutto l’affascinante anziano sorriso, che è segno di carattere indomito e di coscienza pulita. Rosa Cantoni, vecchia poetessa partigiana, prende vita nel suo corpo e prende vita anche la giovane Rosa Cantoni evocata dai ricordi della vecchia, ricordi che narrano di guerra, resistenza, deportazione. Lo spettacolo vive in gran parte nelle eccezionali doti da trasformista della Talliente ma anche nell’efficace interazione con le musiche del fisarmonicista. Semmai, a voler trovare ulteriori margini di crescita in questo lavoro già maturo, occorrerebbe a mio parere sottolineare ancor più gli stacchi tra le due Cantoni, la vecchia e la giovane, per ora affidati sostanzialmente a improvvisi cambi di postura e di movimento. Forse una maggiore varietà nella grammatica delle luci, scene e costumi, potrebbe essere la strada.
Chiusura e culmine iconico dello spettacolo, l’ingresso in scena delle poesie friulane di Rosa, una lunga serie di minute vergate a mano, unite a formare una doppia fila parallela che evoca nelle nebbie dei ricordi i binari di un treno destinato ai forni di Ravensbrück.
Straconsigliato.
ultimo aggiornamento 11 - 05 - 2010
durata:
60 minuti ca
spazio scenico: pedana m. 9x9 (ideale)
altezza minima m. 3,50
spazio chiuso/aperto
attori: 1
musicisti: 1
tecnici: 1
Scheda Tecnica Completa
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